L’alba del Programmatic TV nell’era dello streaming

Un potenziale rivoluzionario per la pubblicità televisiva

Nel digital advertising si parla molto, e a ragione, di Connected TV e Programmatic TV ed è tutto un fioccare di termini e acronimi come Addressable TV, Linear TV, SVOD, AVOD e altri. Anche alla luce del recente aumento di consumo di contenuti streaming da parte degli utenti può essere utile esplorare le potenzialità del Programmatic TV e i motivi per i quali non ha ancora preso piede in maniera decisiva, nonostante sia definito come uno dei trend del digital video.

Addressable e Programmatic TV

Con l’avvento delle Connected TV (CTV) – cioè tutte le tv connesse a Internet tramite un device interno o esterno – in ambito pubblicitario si è cominciato a parlare, ormai già da qualche anno, di Addressable TV.

La parola addressable sta ad indicare l’opportunità di erogare l’annuncio pubblicitario su un target definito dalle abitudini dei singoli nuclei familiari o degli individui connessi al device col proprio account. Se tradizionalmente gli spazi pubblicitari televisivi erano — e sono — prenotati dagli advertiser in base a dati di share o a ricerche di mercato, le tecnologie applicabili alle CTV permettono di raggiungere con precisione gli utenti che rispondono a effettive abitudini di consumo televisivo e che pertanto configurano un certo segmento di audience.

Lo stesso vale quando parliamo di Programmatic TV (PTV), con la differenza che in questo caso vogliamo indicare specificamente la possibilità di acquistare spazi pubblicitari disponibili su CTV in modalità programmatica — cioè autonoma e automatizzata — proprio come già da tempo, e con impiego crescente, si fa per gli spazi pubblicitari su desktop, mobile e tablet.

È proprio nella prospettiva di attingere a piene mani a questo potenziale che il mercato si è messo in movimento, con nuove opportunità visibili all’orizzonte e alcune criticità tecniche con cui fare i conti, di cui parleremo fra poco.

Linear TV e Streaming, due modi diversi per guardare i contenuti sulle Connected TV

Vale la pena osservare che la fruizione di contenuti su CTV è essenzialmente di due tipi: linear TV e streaming.

Per linear TV intendiamo l’insieme di programmi che vanno in onda secondo tempistiche stabilite dal network: la TV tradizionale, in questo senso, è definibile come linear TV.

Allo streaming, detto anche VOD (video on-demand), invece, fanno capo tutti quei contenuti di cui si fruisce on-demand. Nel dettaglio esistono due tipi streaming: SVOD (subscription video on-demand), che non prevede pubblicità perché a pagamento, e AVOD (ad-supported video on demand), finanziato del tutto o in parte con ricavi pubblicitari, ad esempio YouTube.

L’anno 2020 sembrerebbe essere chiave nell’evoluzione del mercato, essendo emersi due importanti dati:
1) la fruizione di contenuti in streaming è in crescita rispetto a quella di Linear TV e nel primo trimestre rappresenta oltre la metà del tempo speso a guardare contenuti su Smart TV;
2) la maggioranza di essi è AVOD (fonte: Samsung Ads, mercato di riferimento US).

Va da sé che ciò costituisce un’opportunità impossibile da ignorare per i brand, sempre in cerca di ampliare il portafoglio di canali tramite cui realizzare la propria video strategy.

Si apre infatti un nuovo canale, quello delle Connected TV (CTV), per raggiungere audience segmentate sulla base dei contenuti fruiti e composte da utenti con un alto livello di attenzione.

In sostanza, più utenti attenti e di cui conosciamo gli interessi: la chiave perfetta per i brand.

Perché allora il Programmatic TV non decolla?

Analizziamo lo stato dell’arte del Programmatic TV. Il fatto che esista la realtà della Addressable TV non implica automaticamente che l’inventory CTV (spazi pubblicitari) venga acquistata in modalità programmatica. Proprio come la pubblicità online esisteva anche prima dell’avvento del Programmatic Advertising.

Al momento attuale ci troviamo in una situazione in cui l’offerta CTV è ancora molto frammentata: per quanto i dati ci dicano che la spesa pubblicitaria su CTV è in aumento, non risulta ancora possibile centralizzare l’acquisto di grandi volumi e occorre accedere all’inventory rivolgendosi alle singole fonti sparse, in una logica managed-service (acquisto diretto dal publisher).

A rallentare lo sviluppo del Programmatic TV è la mancanza di scalabilità dovuta alla scarsità e alla frammentazione dell’inventory.
Il problema è che in questo business nascente non vi sono ancora degli standard, cioè criteri condivisi all’interno della filiera che possano in un certo senso rassicurare gli advertiser e fornire loro la spinta all’investimento. Alla base dell’assenza di standard sta il fatto che le CTV non usano identifiers nella forma di cookies o device ID. La mancata identificazione e attribuzione degli utenti costituisce un problema non indifferente, con implicazioni che riguardano, fra l’altro, la misurazione, le audience e la frequency. Senza degli standard in merito ai cosiddetti identifiers, infatti, non è possibile mettere in relazione gli utenti con l’erogazione. Di conseguenza non è possibile misurare la performance di una campagna, costruire audience di interesse e avere controllo sulla frequenza con cui gli utenti visualizzano un video. Quest’ultimo tema sta molto a cuore non solo agli advertiser ma anche ai publisher, perché impatta sulla qualità dell’esperienza televisiva degli utenti. Pensiamo, ad esempio, a quanto potrebbe apparirci scadente un break pubblicitario in cui compaia due volte lo stesso video.

A questo proposito, va aggiunto che occorre trovare uno standard anche dal punto di vista delle specifiche creative, al fine di garantire qualità e fluidità alla fruizione televisiva.

Un potenziale da liberare

L’intera industry ha tutto l’interesse a confrontarsi con queste sfide e trovare una risposta soddisfacente che permetta di sbloccare investimenti. Il mercato della pubblicità su TV è assai vasto e rappresenta per il digital un territorio di conquista pressoché inesplorato. Dall’anno in corso, però, si intravedono segnali che ci dicono che qualcosa si sta muovendo, con diversi media owner che si preparano a rendere disponibili in Programmatic i loro spazi.
L’offerta ha tanto da guadagnare e lo stesso possiamo dire per la domanda.

Se il PTV finalmente decollasse, i brand potrebbero, in autonomia e in maniera centralizzata, gestire le loro campagne in una modalità sempre più cross-platform, con la possibilità di misurare e ottimizzare le performance in tempo reale e andrebbero ad ampliare il proprio portafoglio di canali con un formato — il video — di crescente impiego e successo nel mondo digital.

Dal punto di vista del target, l’offerta si sta già attrezzando per rendere disponibili audience basate su dati raccolti tramite tecnologie come l’Automatic Content Recognition (ACR), capaci di descrivere le abitudini di consumo degli utenti su Smart TV. Questa stessa tecnologia, fra l’altro, rende disponibili agli advertiser informazioni relative al tipo di piattaforma e alla location, nonché dati socio-demografici e comportamentali. Inoltre, l’ACR riesce a ricavare l’indirizzo IP, elemento fondamentale per l’integrazione delle CTV in soluzioni di advertising cross-platform.

In conclusione, l’applicazione del Programmatic Advertising agli ambienti CTV rappresenta per i provider tecnologici e per i media owner una sfida non solo sul campo della standardizzazione — essenziale perché gli advertiser possano gestire le loro compagne con i vantaggi dati dall’acquisto in modalità programmatica — ma anche sul campo dell’esperienza offerta ai consumatori. Una sfida che, se alla fine sarà vinta, potrebbe cambiare la pubblicità televisiva per come l’abbiamo conosciuta fino ad oggi.

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